Mimmo Torrese: una vita tra giornalismo e fotografia
di Luca Sorbo
Un lungo e ricco percorso tra giornalismo e fotografia. Una memoria dell’evoluzione della cultura fotografica in Campania ed in Italia. Un punto di riferimento per molti appassionati e professionisti. Serio, professionale, affidabile è conosciuto e stimato da molti.
Come è nato il tuo interesse per la fotografia?
Mio padre acquistava il quotidiano ogni giorno, e pur con le limitazioni dell’epoca, ho imparato il linguaggio fotografico proprio leggendo le pagine di una grande testata del mezzogiorno. Un ulteriore impulso l’ho avuto all’indomani dell’epidemia colerica, quando sia partiti politici, sia la chiesa che i gruppi extraparlamentari , facevano ricorso a foto in bianco e nero per denunciare le condizioni di degrado di alcuni quartieri e territori. Montavano dei grossi cartelloni, fatti a mano, con testo e foto nelle principali vie e piazze. La lettura de La Voce della Campania, L’Espresso e di Epoca, che trovavo a casa di un mio cugino militante del Pci, hanno fatto il resto.
Quali sono state le tue prime esperienze?

Sono nato a Torre del Greco, una volta terza città della Campania. Oltre alle solite esperienze tipiche di ogni appassionato di fotografia, venivo chiamato dai fotografi professionisti che si trovavano a dover produrre immagini che esulavano la loro sfera di competenza legate alla cerimonia. Devo dire che il panorama dei fotografi della mia città poteva vantare degli elementi di ottimo livello. C’era chi si era diplomato in scenografia all’Accademia, chi aveva fatto il fotografo a bordo delle navi della flotta Lauro e chi partito come perito industriale, si era specializzato in fotografia. Sopravviveva anche un antico studio fotografico con tanto di lampo al magnesio. C’erano anche due fotografi profughi istriani. Uno si era dedicato soprattutto al ritratto, mentre l’altro padroneggiava una bellissima Linhof a banco ottico. Soprattutto nei primi anni Novanta venivo chiamato per la mia grande esperienza nella pellicola invertibile. Per chi era abituato a lavorare con pellicole negative con ampie latitudini di posa, era difficile usare la diapositiva che avendola poco estesa, rendeva molto evidenti gli errori di esposizione
Quale è stato il tuo percorso formativo?
Come tanti fotografi della mia età, sono autodidatta. Molti andavano a “bottega” dai cerimonialisti che spesso avevano grosse carenze culturali e lacune per quanto riguarda la tecnica fotografica. Evitai questo percorso perché non lo ritenevo utile. Mi sarebbe piaciuto frequentare il Bauer a Milano o tentare di entrare al centro sperimentale di cinematografia a Roma che faceva un corso di fotografo di scena. Ma le possibilità economiche familiari non me lo consentivano. Leggevo quindi libri di tecnica fotografica e le riviste dedicate ai fotoamatori. Completavo la mia preparazione leggendo giornali e riviste che davano spazio maggiore alle immagini.
Come è iniziata la collaborazione con la rivista Fotografare e quale era il tuo ruolo? Quali articoli ricordi con maggiore soddisfazione?

Bisogna fare necessariamente un passo indietro. Io comprai la mia prima reflex nel 1983 e nel 1985 iniziai a collaborare con il quotidiano Il Mattino. Scrivevo articoli da Torre del Greco. Quando il mio caporedattore Mimmo Ferrara che dirigeva le pagine Grande Napoli seppe che sapevo fotografare, mi invitò a corredare i miei articoli con le mie foto. Dopo poco avrei scattato anche per gli altri corrispondenti dalla città. Devo dire che sulle prime non ero contento di fornire le foto. Io volevo scrivere. Commisi un grande errore di valutazione. Le fotografie erano pagate sicuramente meglio degli articoli, e forse allora c’erano degli spazi maggiori di crescita professionale. Conobbi i componenti di Fotosud, la storica agenzia fotografica allocata allora proprio accanto alla rotativa de Il Mattino a via Chiatamone. Spesso per fare in fretta portavo direttamente i rulli da loro per lo sviluppo e la stampa delle immagini che poi loro provvedevano a recapitare ai piani superiori. Mi davano anche le “code” delle pellicole che usavano loro. Ricordo che vidi per la prima volta le vasche verticali per lo sviluppo. Mario Siano, Peppino De Laurenzio, Guglielmo Esposito e Antonio Troncone erano per me delle divinità. Mi considero fortunato ad averli conosciuti. Mario Siano e Guglielmo Esposito mi davano anche dei consigli in materia fotografica. Tutti dei veri signori. Sorvolando la mia avventura al supplemento de Il mattino TV& Tempo Libero, diretto da Pietro Gargano, in cui scrivevo di fotografi e fotografia, e al mio passaggio al rinato quotidiano Roma, diretto da Ottorino Gurgo, avevo già collaborato a Reflex, la rivista diretta da Giulio Forti. Insieme a Mimmo Cacciuni, ex corrispondente di Paese Sera, avevamo realizzato un servizio sull’Ansaldo ferroviaria che ci era stato pubblicato. Fresco di laurea, Mimmo poi era stato assunto in redazione. Un giorno mi chiamò dicendomi che Fotografare, allora la rivista più diffusa del settore, cercava collaboratori. Mi presentai con il mio curriculum a Roma alla storica sede in via Lipari 8 e dopo un breve colloquio con Antonello Manno, autore dell’enciclopedia della fotografia della Fabbri editore, entrai in squadra. Con i primi articoli conobbi il mitico Cesco Ciapanna che mi prese a benvolere. Dopo pochi mesi, mi fecero entrare in redazione, con tanto di nome nel colophon. Diventai anche riferimento “prezzi puliti” per la Campania dell’Almanacco di Fotografare. Ho fatto tanti articoli. Uno che ricordo con piacere lo dedicai ai fotografi e al dipartimento fotografico della questura di Napoli. Mi sottoposi anche al fotosegnalamento e la mia immagine di profilo e di faccia, campeggiò in copertina. Realizzai anche un’intervista a Ghester Sartorius, un napoletano che collezionava Leica e a Jack Bendien, fotografo ufficiale della reale casa britannica nelle visite alla città di Napoli.
Con quali altre riviste hai collaborato?

Oltre a La Città, edita dal consiglio comunale di Torre del Greco, ho collaborato a tante iniziative editoriali che durarono lo spazio di pochi numeri. Nei primi anni Novanta lavorai anche per dei magazine di moda editati dal gruppo Cimmino, L’informatore Tessile, Vestire a Napoli ed It èModa. Furono degli esperimenti purtroppo brevi che mi fecero avvicinare a un settore, quello della moda, che allora era vivo e vivace e che aveva il Cis di Nola come punto di riferimento dell’intero mezzogiorno. Ricordo con piacere anche la mia breve esperienza con NapoliCity diretta dal grande Franco Aulisio. Una bella avventura l’ho avuta anche con il settimanale Tv Tempo Libero allegato a Il Mattino. Sotto la direzione di Pietro Gargano, scrivevo di fotografi e di fotografia. Ricordo un numero in cui feci un’intera pagina sui fotografi di moda napoletani con in copertina una bella foto di Ugo Pons Salabelle. All’interno interviste e foto di Pietro Menditto e Salvio Parisi. Un numero che fece epoca. Nei primi anni del nuovo millennio ho lavorato per lungo tempo alla rivista Il Fotografo, diretta da Sandro Iovine
Come fotografo di cosa ti sei occupato? Quali lavori ricordi con maggiore piacere?

Non ho mai avuto preclusioni di sorta, mi sono cimentato in ogni cosa che la professione mi ha fatto incontrare. Ho chiaramente dei settori preferiti. Il ritratto ambientato, il reportage, la foto di architettura e la moda sono quelli che preferisco. Ho fatto tanti lavori di cui vado fiero. Per un intero decennio ho documentato i tanti eventi culturali di un importante istituto di credito, tra cui un intero ciclo di concerti del violinista Salvatore Accardo. Nel 2010 sono stato in Cina, chiamato dal collega giornalista Nello Del Gatto, per documentare l’Expo di Shanghai per una delle più importanti agenzie di stampa italiana. Come socio dell’associazione Neos – Giornalisti e Fotografi di Viaggio Associati di Milano, ho partecipato a molti progetti a tema, in Tunisia, Repubblica Ceca e Israele. Per un‘ importante compagnia di navigazione ho documentato il varo e la consegna di tre grandi unità navali nei cantieri cinesi. Ma sono tanti i lavori che mi hanno entusiasmato.
Quali sono i tuoi riferimenti visivi e culturali?
Sono un estimatore dei grandi film del Neorealismo, ma anche della bella filmografia americana degli anni Ottanta e Novanta. Amo David Bailey, Helmut Newton, Guy Bourdin, Giovanni Gastel, HCB, Brassai, Mario Testino, Uliano Lucas, Mimmo Jodice e Luciano D’Alessandro. Ho sempre apprezzato la Pop Art e la Beat Generation.
A tuo parere, cosa è oggi la fotografia e quale ruolo potrà avere in futuro?
La fotografia è vita. Ogni secondo vengono scattate nel mondo miliardi di fotografie. La diffusione degli smartphone e dei social ha consentito di realizzare la “massificazione della fotografia” teorizzata per decenni dalle grandi major come Kodak. Peccato che i vecchi protagonisti siano stati spinti fuori dai nuovi attori del digitale. È chiaro che questa bulimia di immagini sia soprattutto di quantità, ma non di qualità. Eppure, devo registrare una forte vena creativa da parte delle giovani generazioni. Ci sono ragazzi e ragazze che da poco hanno compiuto la maggiore età che presentano dei progetti veramente belli. Questo lascia ben sperare.
Si può insegnare la fotografia? Come dovrebbe prepararsi un giovane oggi che vorrebbe intraprendere la professione di fotografo?

La fotografia ha delle tecniche che bisogna conoscere. Molti pensano che ormai facciano parte di un passato vecchio e sepolto, visto anche le possibilità di ripresa in completo automatismo delle moderne fotocamere e l’ingresso dell’intelligenza artificiale nei software di photoediting. Secondo il mio parere chi intende intraprendere questa professione deve apprendere e diventare padrone di quelle tecniche che sono fondamentali per realizzare una foto. Oggi molti giovani sono convinti che un semplice tutorial in rete possa spiegare tutto. Nella mia esperienza di insegnamento in una accademia privata napoletana, ho potuto constatare che anche quelli che pensano di sapere già tutto si rendono conto di quanto sia importante avere dei docenti preparati e di lungo corso. Ho la fortuna di lavorare in un modulo insieme a Mattia Valerio, uno dei migliori fotografi pubblicitari e di still-life del territorio, e a Mario Carotenuto, un vero e proprio guru di photoshop. Devo dire che ci sono tanti miei ex studenti che sono entrati nel mondo del lavoro con ottimi risultati. Spesso mi fanno emozionare. Sono proprio bravi.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho un bel progetto che sto imbastendo con Mario Laporta, la leggenda dei fotoreporter napoletani. Una cosa molto impegnativa, in cui crediamo molto. Una cosa nata un giorno durante una delle nostre chiacchierate telefoniche in cui parliamo di fotografia. Poi vorrei riuscire a fare una mostra e a pubblicare un libro. Vorrei anche iniziare a catalogare e sistemare il mio archivio, ma so già che questo non farò. Sono molto pigro.
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