Ugo Pons Salabelle e la fotografia di comunicazione a Napoli e in Italia

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Ugo Pons Salabelle e la fotografia di comunicazione a Napoli e in Italia

di Luca Sorbo

La fotografia di comunicazione invade quasi ogni spazio della nostra vita. Pubblicità, redazionali sono sempre più presenti nei giornali, riviste e social. Purtroppo, però, solo pochi sono in grado di comprendere il ruolo e la forza di questo tipo di immagini. Si discute spesso di arte che coinvolge poche persone e solo raramente si riflette sul ruolo della fotografia di comunicazione.

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Ugo Pons Salabelle, con studio a Napoli, è uno dei principali professionisti in questo settore in Italia e le sue parole possono sicuramente essere interessanti per approcciarsi a queste problematiche in modo consapevole. 

Come è nato il tuo interesse per la fotografia?

Il mio interesse è nato dal cinema nel quale ho iniziato a lavorare negli anni Settanta. In realtà non ho mai molto amato la realtà produttiva italiana, la mia passione giovanile era, ed è, il western americano classico con i suoi grandi paesaggi e con trame apparentemente semplici che invece nascondono letture più complesse. Ho lavorato poi un paio di anni in tv e con i primi guadagni ho comprato la mia prima 6×7 e soprattutto la mia Sinar 4″x 5”.Stiamo parlando del 1978, anno in cui ho aperto la mia partita iva.

Quali sono state le tue prime esperienze professionali?

Il mio primo vero cliente è stata una piccola azienda di ceramica. Fondamentalmente riproducevo a colori su diapositive 10X12 le mattonelle che producevano. Oggi sembra semplice ma allora non era così. Un giorno proposi all’ azienda di costruire nei loro capannoni dei bagni e delle cucine con i loro rivestimenti. Lavoravo con un architetto, operai ed anche un art buyer.

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Ho imitato anzi copiato, e non ho vergogna a dirlo, la luce finestra di un grande Maestro.

Le fotografie, se ne scattava una al giorno, piacquero molto.

Ma il vero colpo di fortuna avvenne quando in fabbrica passò un architetto che doveva scegliere qualcosa. Vide le diapositive di grande formato che giravano in quel momento e mi chiese se avevo mai fotografato interni di case. Mentendo spudoratamente, dissi di si.

La prima casa che fotografai venne pubblicata, con il mio nome, su CasaVogue. Da lì iniziò una serie fortunata di servizi redazionali per alcune riviste di architettura, il mio incontro con Aldo Ballo e tanti tanti still life di oggetti di design. Finalmente avevo un book di livello con cui presentarmi alle agenzie pubblicitarie . E così feci. Con fatica e passione.

Cosa è la fotografia di comunicazione?

Cosa è innanzitutto la comunicazione.

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La comunicazione per definizione è la trasmissione di una informazione da una fonte emittente ad un’entità ricevente. Tale messaggio dovrà essere de-codificato cioè “compreso” dal ricevente con la minor quantità di personale interpretazione possibile. In comunicazione bisogna mantenere l’intento di messaggio: vogliamo che al nostro target di riferimento arrivi esattamente quello che era nostra intenzione dire e fare capire.

La comunicazione che non provoca attenzione nel target di riferimento è una comunicazione inefficace, se la comunicazione provoca risonanza o è solamente memorabile non è per forza una buona comunicazione.

Una buona comunicazione non trasmette solo informazioni ma può anche convincere, persuadere.

Cicerone diceva: informare (docère),intrattenere (delectare), emozionare (movère o flectere). Oltre che piegare, flectere significa anche persuadere, dirigere altrove e commuovere.

Movère oltre che muovere significa anche trasformare nonché convincere.

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Diciamo dunque che la fotografia di comunicazione è quella fotografia  in cui l’immagine viene “scritta” affinché sia “letta” in un preciso modo e non interpretata in modo “aperto”.

Diversamente Proust scriveva che ogni lettore quando legge, legge se stesso e quindi l’opera letteraria è solo uno strumento ottico per una sorta di introspezione personale. In modo diverso Conrad, Martinson ed altri scrittori affermavano lo stesso. L’ermeneutica, l’Opera Aperta di Eco o la Morte dell’Autore  di Barthes di questo parlano.

Pensare alla fotografia di comunicazione come ad una opera d’Arte, oggi, è abbastanza un pensare confuso. Ma pensare il contrario è un pensare ancora più confuso.

Ovviamente nella fotografia di comunicazione la componente bellezza, cioè l’estetica nel senso di piacevolezza, è spesso, ma non sempre, fondamentale.

Intrattenere ed emozionare sono importanti.

Io lo chiamo lo Stop Power.

Chi sono stati i principali professionisti nel passato in questo settore?

Domanda difficile anzi difficilissima.

Non ricordo chi ha detto, definendo le varie specializzazioni in campo fotografico, che il fotografo pubblicitario è quel professionista che sa fare tutto e deve risolvere tutti i problemi tecnici e di comunicazione di una idea creativa che spesso non è neanche la sua. In effetti fa ritratti, still life, gioielli, food, lavora in studio e on location, illumina interni o li crea addirittura, fotografa paesaggi o slice of life, crea effetti speciali etc etc. Ma la cosa più bella è che quasi sempre non passa alla storia anzi: cercate sul web Mario Zappalà, uno dei grandi della fotografia pubblicitaria, non troverete quasi nulla.

Quali sono stati i tuoi lavori più importanti?

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Inutile dire che, come tutti i fotografi che hanno lavorato in pellicola invertibile colore (dia), un vero archivio dei lavori fatti fino al 2005 non esiste. Gli originali partivano per agenzie e riviste e poi non si riaveva più nulla indietro.

Esistono comunque dei lavori che in qualche modo sono tappe della mia storia professionale.

Phaidon Press da poco mi ha chiesto l’autorizzazione alla pubblicazione di una fotografia di una poltrona di Mendini realizzata nel 1982 per la Driade.

I primi still life tecnici per la Texas Instrument per la Saatchi e la mia prima campagna stampa nazionale per Agria-Select con l’agenzia Arkè.

La mia prima campagna internazionale per i F.lli Carlone- La Molisana su mia creatività o l’immagine che è stata esposta fuori l’aereoporto LaGuardia di New York per non so quanti anni per Olio Colavita, anche questa su mia creatività.

Fra le poche fotografia di moda, quelle per Mario Valentino per le pagine pubblicitarie in USA e Giappone o quelle per il calendario Trussardi.

L’immagine per la campagna stampa ed affissione per Pasta Garofalo che partita nel 2000 si è poi conclusa nel 2016 in Francia. Le immagini per le campagne per Sole 24 ore o Il Gio,rnale, per Cafè do Brasil, per MSC Crociere, Pasta Granoro, Fiat Auto Spa, Parmalat, Carpisa, Yamamay…

Come nasce una foto per la pubblicità o un catalogo?

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Il percorso sarebbe sinteticamente questo: account della agenzia che parla con il cliente – brief- coppia creativa all’opera – rough (un abbozzo della foto o parte visual di una campagna) – di nuovo account e coppia creativa dal cliente e poi rough o lay out dal fotografo.

Questo in teoria.

Perché fra i due estremi ovvero questo che ti ho detto ora e l’altro estremo, e cioè il cliente (o l’agenzia o il grafico) che ti affidano tutto e dicono fai tu e sorprendimi, esistono un mare di intermedie possibilità.

Avere un rough non significa eseguire ma interpretare e capire molte cose che sono nella testa di un art. In genere questi preferivano ( ed uso il passato e il  perché poi te lo dirò) avere sempre gli stessi fotografi perché si capivano meglio.

Quando il creativo sei tu? allora o sei un comunicatore e ci capisci o il risultato è una catastrofe.

Hai qualche aneddoto da raccontare?

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Sono in un grande studio a noleggio a Milano, con una fotocamera digitale di una certa marca appena comprata, a scattare foto per un lavoro di catalogo neanche tanto di immagine. Art director e fashion stylist mi guardano storto (io nella moda non ci sono mai entrato veramente e ne sono molto contento) dicendomi:” Ugo ma nessuno nella moda usa questa fotocamera!”

Io francamente non rispondo neanche. Dopo qualche minuto un frastuono di urla e saluti.

Ci avvertono che c’è Peter (Lindbergh) nella sala posa affianco. Entriamo e la prima cosa che noto è la fotocamera sul treppiedi: identica alla mia, sia corpo macchina che ottica.

Rientrato nella sala per il nostro shooting guardo Art e Stylist e sussurro sottovoce: “…ma ditelo che non ci capite un c…o”.

Non hanno risposto.

Quali sono le competenze necessarie per lavorare in questo settore?

La competenza tecnica significa saper mettere in forma compiuta e finita un messaggio da comunicare.

Capire quindi come funziona il linguaggio fotografico che non è propriamente un vero linguaggio.

Sapere mettere da parte alcuni aspetti lirici e spesso nevroticamente narcisistici che abbiamo tutti noi fotografi. Non per questo bisogna rinunciare ad una certa Autorialità, ma bisogna essere Samurai e mettersi al servizio di un preciso contenuto da mettere in una forma visibile.

Personalmente mi sono appassionato alla fotografia di comunicazione proprio perché mi piaceva capire il meccanismo di funzionamento di una immagine.

Quali sono stati i tuoi riferimenti visivi e culturali?

Il mio primo riferimento visivo è stato il cinema, sicuramente John Ford. Accostiamo a questo un poco di Giotto che racconta o meglio comunica in maniera eccelsa la vita del Santo, il cinema di propaganda nazista e sovietico, un poco di Ernst Haas, Jay Maisel e John Alcott, mettiamoci un poco di Picasso e rimane sicuramente molto altro. Ma poi comunque rimane il cinema il mio primo riferimento.

Credo che l’aver studiato, anche se in modo discontinuo, un poco di semiologia, linguistica, storia del cinema ed avere un grande passione per la letteratura mi abbia molto aiutato.

Napoli ha una qualche particolarità in questo settore della fotografia?

Non credo l’abbia mai avuta e non penso l’abbia neanche oggi. Trent’anni fa scrissi che era una stupefacente location per cinema e pubblicità…

Hai mai pensato di proporre i tuoi lavori in una galleria d’Arte ?

Posso darti solo questa risposta.

Penso che esistano tre tipi di fotografi.

Gli artisti-fotografi.

Artisti professionisti che inseriti in un circuito di riconoscibilità, in contatto con critici, galleristi, collezionisti, usano la fotografia per scelta ma potrebbero usare un pennello o altro.

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I fotografi-artisti.

Fotografi che hanno raggiunto, per capacità e/o importanza storica di lavori eseguiti, un livello di notorietà tale da costituire un patrimonio visivo da esporre in gallerie o musei.

I fotografi-fotografi.

Fotografi che restano solo dei fotografi. Come Bulkington, il marinaio di Melville che ha navigato molto più di Colombo, Vespucci o dello stesso Achab ma non ha scoperto nulla e non è un protagonista.

Quindi resta solo un marinaio anonimo.

Fare una mostra, organizzarla, è un lavoro serio per un artista-fotografo, forse quasi un dovere per un fotografo-artista, un momento di promozione se fatta bene per un fotografo professionista.

Io la potrei fare solo con fotografie personali, intime e per gli amici che condividono con me alcune mie passioni.

Le fotografie, quelli importanti, le ho esposte per strada o sui giornali per anni e hanno già fatto il loro lavoro

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di lavorare a Napoli?

Possiamo dire che fino ai primissimi anni di questo secolo esistevano solo svantaggi in quanto i luoghi del lavoro erano fisici e quelli buoni erano altrove; oggi la situazione è più complessa anche se un iter professionale nel nord Italia e spesso all’estero potrebbe essere più facile.

Come è cambiata la fotografia di comunicazione a seguito della svolta digitale e della intelligenza artificiale?

Qui non basterebbe un libro perché i mutamenti sono rapidissimi e sempre in atto.

La tecnica digitale (andrebbe chiamata analogico-digitale perché un sensore lavora in analogico fino alla conversione digitale) ha solo migliorato la qualità della fotografia ma ha anche reso più facile ed alla portata di tutti il foto-ritocco e gli effetti visivi, snaturando nel suo uso eccessivo il noema Barthesiano che differenzia la pittura, il disegno, il CGI o la sintografia AI dalla fotografia stessa.

Sintetizzando, per chi non lo sapesse, Barthes scrive che il tratto inimitabile della fotografia (il suo noema) è che qualcuno ha visto qualcosa o qualcuno che è stato lì, quindi la pittura può simulare la realtà senza averla vista mentre nella fotografia dev’esserci stata una cosa necessariamente reale posta davanti all’obiettivo (il referente).

La facilità tecnica a produrre immagini fotografiche, a ritoccarle e a creare effetti visivi, ha reso spesso le fotografie più simili a pitture o disegni, poi grazie a questa facilità tecnica di ripresa è avvenuta una  ulteriore democratizzazione del mezzo incrementando la iper produzione di immagini. Tutto questo è avvenuto quasi contemporaneamente all’esplosione dei nuovi media dove tutti scrivono e dove tutti espongono le loro fotografie. Ora su questi nuovi media naviga  anche la nuova comunicazione pubblicitaria , fatta da scritti, fotografie, video. E questa comunicazione deve tenere conto su quali mari sta navigando, e chi abita o frequenta questo Oceano e a quali immagini, il nuovo target si sta abituando, subendole o apprezzandole non importa.

L’AI potenzierà sempre di più il foto-ritocco, gli effetti e questo consentirà la realizzazione di prodotti eccezionali ma in ogni foto ci sarà sempre meno foto-grafia e sempre più sinto-grafia e questo non è un male in assoluto ma per molti tipi di comunicazione non funzionerà secondo me.

Guarderò con piacere  Here di Zemeckis ma non sceglierò un albergo con fotografie  che avverto troppo lavorate in post produzione.

Per quanto riguarda la pura sinto-grafia AI, questa non è fotografia.  Avrà un incremento ovviamente esponenziale per tutto quello che riguarda la fiction sia in comunicazione che nello spettacolo.

Hai insegnato fotografia in istituzioni pubbliche e private, come imposti i tuoi corsi?

Mi sono sempre vantato, e poi è stato così per fortuna, che i miei assistenti sarebbero diventati fotografi professionisti.

Insegnando fotografia mi sforzo affinché i miei studenti abbiano il meglio per entrare nel mondo del lavoro, che poi sia propriamente fotografia, post produzione, video, pubblicità, art direction non importa. Per mia fortuna   molti, tanti ci riescono.

La mia impostazione iniziale è classica (anche se insegno solo fotografia analogico-digitale).

Tecnica, linguaggio e comunicazione. Se non capiscono ho sbagliato io e ci riprovo in modo diverso.

Ma ogni anno che passa il mondo cambia e quindi cambia anche l’impostazione del corso.

Per fortuna non quella iniziale.

Cosa è per te oggi la fotografia? Quale sarà il suo futuro?

La cosa che mi avvilisce della fotografia contemporanea non è solo l’uso eccessivo e spesso senza senso del potenziamento tecnico ma l’abbandono della caratteristica propria della fotografia. Per me è Fotografo  chi guardando vede di più e quel di più che ha visto lo fa vedere anche agli altri. Non bisogna essere maestri o grandi artisti ma solo autentici fotografi. E questo significa saper dominare una Tecnica che invece diviene sempre più potente e tende a renderci suoi semplici funzionari e a farci produrre, in tanti, sempre le stesse immagini che glorificano la sua potenza di calcolo o la sua capacità di creazione. Una cosa che mi preoccupa ,e da molto prima del digitale o del AI, è la parole tendenza. parafrasando Frank Herbert penso che “la tendenza uccide la Mente”.

Foto:

  • Calendario Trussardi 1989 Controcopertina
  • Calendario Trussardi 1989 foto pagina
  • Campagna Delta Pen 2007
  • Campagna USA La Molisana 1992
  • Piatto Chef Montefusco Guida Michelin 2022
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